Qualche tempo fa, un’amica di cui ho molta stima mi ha fatto riflettere su alcune cose che probabilmente andrebbero ciclicamente riviste e ricordate, e in particolare sull’effetto “social”. Infatti, quando si scrive qualcosa sul web, si pubblica su Instagram o altri social, si perde il controllo di chi “ascolta” il messaggio e nel mondo della comunicazione si sa che l’intenzione è qualcosa che prima di arrivare al cervello del destinatario, passa attraverso la codifica di chi produce il messaggio, che avrà i suoi pregiudizi, viene mediata da un canale che può introdurre rumore o tagliare informazioni, e infine decodificata dall’ascoltatore che lo leggerà secondo i suoi pregiudizi. Questo può essere, in effetti, deleterio in alcune circostanze.
(Come al solito, alla fine dell’articolo c’è un riassunto per chi abbia fretta, ma se hai tempo, magari leggi tutto quanto l’articolo.)
Tra l’altro, mi sono trovato più volte nella situazione di cercare di contrastare eccessive semplificazioni o estremizzazioni, principalmente quando usate a scopo malevolo (per esempio quando parlavo dei fantomatici programmi miracolosi di dimagrimento in 7 giorni) o quando parlavo delle continue diatribe su quale sia l’arte marziale più efficace.
Detto ciò, sebbene sia praticamente impossibile riuscire a condensare in una storia di Instagram e un articolo un pensiero che sia chiaro, leggibile e valido per chiunque, si può sempre provare a fare qualcosa per aiutare a capire meglio e a ridurre i rischi di ciò che una storia social possa veicolare. Per questo motivo ho voluto scrivere un altro dei miei articoli che parlano dei motivi che mi spingono a condividere sul web, sperando di creare un contesto per chi mi segue, che aiuti a sfruttare i lati positivi di questi mezzi. In fondo al momento oggi non ho un grande seguito, ma nel futuro, chi lo sa?
A chi mi rivolgo?
Di sicuro una delle prime cose di cui parlare è a chi voglio indirizzare i miei messaggi. Questo è importante perché quando si dice qualcosa a una persona specifica, cambia il modo e gli assunti alla base. Tuttavia, chi incontra una mia storia, probabilmente non lo sa. Allora magari leggendo questo articolo potrebbe capire se fa parte del mio target o meno.
Il mio intento è raggiungere tutte quelle persone che non hanno bisogno di aiuto specialistico che io non posso dare (e su questo farò un’ampia digressione dopo), che hanno voglia di cambiare in meglio, specialmente nell’ambito dello sport per la salute e per il benessere psicofisico, ma faticano a iniziare o a progredire.
Perché mi rivolgo a questa audience? Principalmente perché io ero diventato esattamente una di queste persone: mi ero lasciato trascinare dal lavoro, dalla famiglia e da tante altre cose, mettendo da parte con scuse, poca attenzione e altro, ciò che invece potevo fare per la mia salute. Come ho detto in varie occasioni, lo sport e le arti marziali mi hanno letteralmente salvato la vita (e la sanità mentale in alcuni casi). Dunque, la mia speranza è che chi si identifica anche solo in parte con quello che faccio, possa trarne ispirazione. Io per primo mi dicevo di non poter fare il massimo per la mia salute: l’età che avanza, padre e lavoratore emigrato in una terra frenetica e tante altre cose.
Se dovessi fare un esempio specifico, mi rivolgo a genitori che hanno messo da parte la cura della loro forma fisica come processo per migliorare il loro benessere generale e che sono mediamente in salute psicofisica buona (cioè passerebbero una visita medica sportiva per iscriversi in palestra). Sebbene mi senta in grado di aiutare anche in ambiti più ampi, di certo i social e il web non sono il mezzo giusto.
Di conseguenza, è importante, quando si vede un contenuto social, farsi due domande in più e attivare il pensiero critico, prima di lasciare che un contenuto ci faccia del male. Quando incontri un contenuto, mio o di altri, chiediti sempre “sono sicuro/a che questo contenuto sia rivolto a me?”
Qual è la mia speranza e quale il mio intento?
Bisogna innanzi tutto capire che ognuno ha il diritto (e anche il dovere) di vivere la vita come meglio crede. Non sono certo io che posso dire a qualcuno come debba vivere la sua vita. Tuttavia, come dicevo poche righe più su, so per certo che c’è moltissima gente che ha solo bisogno di una spintarella per fare qualcosa che li renderà più felici della loro vita e più vicini ai loro obiettivi. Questa è una di quelle quasi-certezze che ci circondano costantemente. Anche io lo sono stato e probabilmente lo sono ancora in molti ambiti e lo sarò anche nel futuro.
Quando parlo di allenamento, a differenza di molti “fitness influencers”, non mi arrogo il diritto di dire quale sia l’allenamento efficace, perché in primo luogo l’allenamento è funzionale a ciò che la persona desidera, che sia quello di perdere peso, migliorare “il fiato”, diventare più forte o esteticamente migliore, o semplicemente mandare via qualche fastidio e prepararsi un futuro con maggiore indipendenza fisica.
Per questo motivo cerco sempre di spiegare che gli allenamenti che condivido hanno un obiettivo che è mio e solo mio e nessuno deve copiare il mio allenamento puramente perché lo faccio io. Per lo stesso motivo, quando uso strumenti come pesi o bande elastiche, cerco di spiegare la teoria così da permettere alle persone di approfondire e adattare l’informazione al proprio contesto.
Il mio intento quindi è quello di dare quella spintarella alle persone a cui mi rivolgo, esattamente quella che avrei voluto io e che alcune persone come il mio allenatore, o qualche altra persona sui social è stato per me. Chiaramente ho anche altri obiettivi legati ai miei figli, ma quella è un’altra storia.
In poche parole, voglio ispirare attraverso le mie azioni, tutti quelli che come me vorrebbero raggiungere un risultato e pur non sapendo se sarà possibile, vogliono fare e dare il massimo per arrivarci.
Ogni volta che qualcuno mi scrive per supportarmi, per dirmi che grazie alla mia storia o al mio articolo si è iscritto in palestra, ha cambiato in meglio o ha comprato una sbarra per le trazioni, mi sento di aver raggiunto il mio scopo.
Una domanda che puoi farti di fronte a un post è: “quale messaggio costruttivo posso estrapolare dal contesto?”
In cosa credo?
Innanzi tutto, credo nella scienza e mi piace tentare di usare il pensiero critico in tutto quello che faccio. Ho spesso preso ruoli di coaching in vari ambiti, da quello aziendale a quello personale e, in questo caso, sulle piattaforme social, nell’ambito sportivo. Il coaching è una disciplina complessa e specifica che non si può di certo raccontare in un paragrafo, ma è sicuramente uno strumento ampiamente studiato e usato per aiutare le persone a massimizzare i loro risultati sulla base delle loro risorse.
Il mio assunto di base, date le persone a cui mi rivolgo e il mio intento, è che poiché io rappresento una persona normale, nemmeno più giovanissimo, se posso farlo io, allora possono farlo gli altri. Credo nel dare l’esempio e non solo nel predicare bene. Non parlo di poter fare esattamente di quello che faccio io, ma più genericamente di dare il massimo riguardo alle cose che ciascuno è in grado di controllare. Per esempio, io sono in grado di decidere se dare priorità a fare 10 minuti di esercizio fisico per migliorare statisticamente le probabilità di stare meglio, rispetto a lasciare magari indietro delle lenzuola che potrò mettere anche non stirate sul letto. Alle volte basta una storia su Instagram per rendersi conto che si sta dando priorità a una cosa poco importante (esempio lenzuola stirate contro lenzuola non stirate) invece di usare le stesse risorse per una cosa ben più importante come la salute.
Sebbene il mio intento voglia e possa andare ben oltre gli aspetti prettamente sportivi, proprio perché c’è molta complessità, cerco di limitarmi a questo ambito nelle mie condivisioni e quindi mi piace sfruttare ciò che la scienza dice riguardo all’attività fisica.
Purtroppo ci sono guru su guru che citano studi sulla scienza dell’esercizio, peccato che la maggior parte delle volte si tratti di studi fallaci o quanto meno incompleti, tuttavia ce ne sono tanti altri che non sono legati singolarmente allo sport e che evidenziano i benefici generici del muoversi. Parlo per esempio della produzione di miochine dovuta all’intensa attività muscolare, che può contribuire al benessere fisico e mentale. Oppure parlo di studi ben più ampi fatti su popolazioni vaste che guardano all’aspettativa di vita e agli effetti sulle malattie cardiovascolari e la loro riduzione significativa in termini statistici grazie all’esercizio fisico.
Rimane vero che esistono grandi percentuali di fattori esogeni che non si possono né controllare né influenzare. Tuttavia, io cerco di dare spunti per non farsi fermare da ciò che non si può controllare.
In poche parole, il mio intento è quello di dare spunti per aumentare la consapevolezza di cosa sia nel nostro controllo e di stimolare a dare il massimo possibile per ottenere ciò che vogliamo. Un esempio banale? Se il mio obiettivo è quello di vincere la lotteria, io non posso in nessun modo controllare l’estrazione e quindi essere sicuro di vincere, ma di certo controllo io se compro un biglietto oppure no. Se decido di non comprarlo, potrei avere la certezza, seppur non completa, di non vincere la lotteria (potrei sempre trovare il biglietto vincente per caso per terra davanti alla porta di casa).
In altre parole, se voglio migliorare il mio stato di salute, per esempio perché il medico mi ha detto che sto diventando obeso e sono mediamente in salute, posso pensare di dare il massimo e scegliere una nutrizione e un allenamento per migliorare la mia salute? Si, esattamente come potrei trovare ogni forma di scusa per decidere di non farlo e dare priorità ad altro rispetto agli interventi che il medico mi suggerisce. Non è detto che cambiando dieta e facendo esercizi la situazioni migliori, ma tendenzialmente si può dire che è abbastanza probabile che non facendo nulla andrà a peggiorare.
Quali sono i rischi della condivisione?
I rischi maggiori che vedo nella condivisione di questi contenuti, a volte motivazionali, a volte educativi, è che il mezzo non ne permette necessariamente una fruizione completa. Per esempio, statisticamente solo in pochi saranno arrivati fino a questo punto dell’articolo.
Questo significa che non si riesce a dire tutto e di sicuro non lo si riesce a codificare per tutti, dunque per quanto le intenzioni possano essere buone, ci può essere qualcuno che vive una situazione particolare o addirittura estrema, che vedendo questi contenuti potrebbe estremizzare ancora di più i comportamenti o le situazioni disfunzionali.
Questo è il motivo per cui citavo il fatto che mi rivolgo a persone che non hanno bisogno di interventi professionali esterni. Una delle cose che viene ripetuta fino all’esaurimento in tutti i corsi da coach che ho seguito, sia di natura sportiva che non, è che la prima cosa da valutare con un “cliente” è se ha bisogno di qualcun altro, che sia un medico, uno psicologo, un posturologo, un dietologo o altro. Questo è il motivo per cui i corsi di formazione professionale in ambito sportivo, cercano di dare delle nozioni di base per individuare delle bandierine rosse che ci fanno dire alla persona che forse è meglio che prima visitino un posturologo (o altro professionista a piacere che viene identificato per il problema in questione).
Non è difficile dunque immaginarsi qualcuno con problemi di percezione di se stesso, senza citare nessuna delle potenziali patologie, che possa prendere un messaggio motivazionale ad allenarsi di più, come una spinta a esagerare con l’allenamento, o con la restrizione calorica e tutto quello che ci può stare attorno.
Ma senza andare nell’ambito psicologico, banalmente io faccio uso di strumenti che non tutti possono usare. Per esempio, ci sono persone che prendono dei farmaci che rendono dannoso o pericoloso l’uso di un cardiofrequenzimetro per stabilire le corrette intensità di allenamento. Queste persone, chiaramente non sono nel mio target quando ne parlo, ma una storia di 30 secondi fatica a farlo capire.
Chiaro, stiamo parlando di eccezioni che però nel mondo dei social esistono e non si può non pensare a loro. Allora che fare? Bisogna smettere di pubblicare sui social? Come dicevo, se si vuole fare del bene attraverso i social, purtroppo bisogna accettare un certo livello di rischio e, forse, quello che si può fare è scrivere articoli come questo per sperare che queste eccezioni si rivolgano alla persona giusta o quanto meno capiscano che quello specifico messaggio non è per loro. Questo, sperando di fare più del bene che danni.
Semplificazione e complicazione, come stare attenti?
Le semplificazioni sono dei processi naturali del nostro cervello che ci aiutano a capire e consolidare meglio i nostri giudizi. Sono in generale utili perché ci permettono, per esempio, di trovare uno stimolo a fare qualcosa. Ci aiutano ad avere quella sensazione di autoefficacia necessaria anche solo per iniziare a camminare verso i nostri obiettivi. Tuttavia, esse sono anche un pericolo perché rischiano di far dimenticare alcuni aspetti, o di nascondere alcune complessità, che possono andare a danneggiare chi segue quella spinta. Penso, per esempio, al caso di una persona che abbia qualche genere di sindrome metabolica che non dipende dalle scelte alimentari o di movimento, che seguendo una semplificazione sul “programma di dimagrimento” decide di provare senza vedere risultati e a causa di quel fallimento decide che non c’è nulla da fare e dunque abbandona anche solo l’idea che ce la possa fare, magari con l’aiuto di un medico che potrebbe salvare la sua vita.
Anche a me è capitato di semplificare, per esempio quando dico che per iniziare ad allenarsi basta la volontà. Chiaramente ciò non è vero: sono sicuro che un paraplegico in un letto d’ospedale la volontà l’avrebbe anche, ma ha dei chiari ostacoli. Tuttavia, usando il pensiero critico è possibile capire che nel contesto delle persone a cui mi rivolgo, e dato il mio intento, la semplificazione è uno stimolo diretto a bloccare le forme di procrastinazione e di paura del “non ce la posso fare” che rischiano di far creare mille scuse per non iniziare.
Dall’altro lato, anche la complessità è utile. Infatti, mostrare che ci sono tante variabili, di cui alcune sotto controllo e altre meno, è un modo molto efficace per stimolare il pensiero critico e rendersi conto che bisogna informarsi prima di agire, almeno quel poco che sia necessario a ridurre rischi ed effetti collaterali. Tuttavia, anche la complessità non è priva di rischi e anzi, è proprio qualcosa che nella mia esperienza prettamente personale, ho visto essere uno dei maggiori ostacoli di tante persone alle quali mi rivolgo. L’idea che sia tutto fuori dal nostro controllo, i processi di catastrofizzazione, specie nel caso in cui “non ce la faccio”, e il fatto che è troppo complesso da capire quindi faccio a caso, sono state sostanzialmente le maggiori ragioni di immobilità delle persone che mi chiedevano suggerimenti o aiuto per raggiungere i loro obiettivi ma senza fare nulla di diverso da ciò che stavano già facendo. Uno degli effetti della complessità può essere quello di sentirsi così sopraffatti da sentirsi impotenti di fronte alle cose necessarie per mettere in atto un cambiamento. Questa cosa, nota come “impotenza appresa” (learned helplessness) è, secondo vari studi anche evidenziati da Martin Seligman, noto psicologo americano fondatore del movimento della psicologia positiva, una delle potenziali cause di attivazione di stati depressivi.
Su questo tema, è difficile dare suggerimenti, perché sta a ciascuno usare correttamente il pensiero critico senza però lasciarsi dominare dalla catastrofizzazione e dalla procrastinazione eccessiva.
Forse una domanda da farsi di fronte a ogni contenuto può essere: “è troppo facile?”, oppure “è davvero così complicato?”. Tuttavia qui ci sarebbe da aprire un mondo.
Che cosa posso dare nei social e cosa posso condividere in generale?
Sarebbe falso dire che non ho un’ossessione per lo studio. Mi piace sapere e capire il più possibile cosa ci sia dietro alle cose e quando mi pongo un obiettivo, per esempio quello della mia forma fisica, cerco di crearmi tutti gli strumenti necessari a dare il massimo e ad avere la massima probabilità di riuscita, pur rimanendo ragionevole nei miei sforzi.
Nei social quindi posso condividere, oltre alle competenze che ho acquisito, anche suggerimenti su come applicarle in contesti specifici, e raccontare la mia storia e il mio viaggio, sperando di ispirare qualcuno durante il tragitto.
Come potrei sintentizzare il tutto, senza semplificare troppo?
Mi piacerebbe sfruttare le competenze che ho sviluppato nell’ambito del coaching e come istruttore sia in ambito sportivo che generale, per aiutare persone mediamente sane, e per cui ho le competenze giuste, a massimizzare il loro potenziale, rimanendo consapevoli delle cose che si possono controllare e di quelle che non si possono neppure influenzare, spingendoli a chiarire i loro obiettivi e a dare il massimo per ottenerli, se questo è ciò che vogliono per essere felici.
Il mio invito
Dopo che pubblico una storia o un articolo, qualcuno ogni tanto mi scrive. Il mio invito è quello di continuare a farlo, chiedermi chiarimenti su cosa significa ciò che sto condividendo e, perché no, anche delle critiche costruttive. Spero di poter essere sempre utile e di poter dare qualche suggerimento valido a chi è stato ispirato da qualcosa che ho condiviso.
Ecco il solito riassunto per chi ha fretta:
- Riflessione sull’effetto “social” delle pubblicazioni online: Ho iniziato a riflettere sull’impatto delle mie condivisioni online dopo il consiglio di un’amica di fiducia. Riconosco che quando si pubblica sul web, si perde il controllo su come il messaggio viene interpretato, considerando la complessità della comunicazione.
- Contrastare semplificazioni ed estremizzazioni: In diverse occasioni, ho cercato di contrastare semplificazioni ed estremizzazioni, specialmente su temi come i programmi miracolosi di dimagrimento e le discussioni sulle arti marziali più efficaci.
- Scopo dell’articolo: Ho scritto questo articolo per spiegare in modo più approfondito le ragioni dietro le mie condivisioni online, cercando di creare un contesto chiaro per chi mi segue.
- Intento principale: Mi rivolgo a coloro che desiderano migliorare, soprattutto nell’ambito dello sport per la salute e il benessere psicofisico. Cerco di raggiungere persone che non necessitano di interventi specialistici esterni e che sono motivate a fare cambiamenti positivi.
- Chiarezza sul target di riferimento: Voglio che chi segue le mie condivisioni capisca a chi mi rivolgo. La mia speranza è ispirare coloro che si identificano, anche solo parzialmente, con la mia esperienza.
- Assunti fondamentali: Credo nella scienza e nell’uso del pensiero critico. Cerco di dare l’esempio, incoraggiando gli altri a massimizzare il loro potenziale attraverso scelte informate e personalizzate.
- Rischi della condivisione online: Riconosco i rischi della condivisione online, specialmente per coloro con condizioni particolari che potrebbero fraintendere o estremizzare i messaggi motivazionali.
- Semplificazione e complessità: Ho affrontato la sfida di equilibrare semplificazioni ed esposizioni della complessità. Cerco di stimolare il pensiero critico evitando che la complessità porti a una paralisi decisionale.
- Obiettivo finale: Il mio obiettivo è aiutare le persone a massimizzare il loro potenziale, mantenendo la consapevolezza di ciò che possono controllare. Cerco di spingere gli individui a chiarire i loro obiettivi per perseguire la felicità attraverso scelte informate e motivate.