Uno dei più importanti elementi (se non forse il più importante) alla base dell’apprendimento è dettato da come l’allievo si approccia al momento formativo.

Tu cosa ti aspetti quando partecipi a un corso, o più in generale dal tuo insegnante? Molti, spesso, si aspettano di trovare qualcuno che sa fare tutto e meglio di loro, perché altrimenti “non ha nulla da insegnare”. Quello è il momento in cui il cervello si spegne e si chiude alle nuove esperienze, quelle che fanno crescere.

Recentemente, ho partecipato al corso per allenatori di karate con la Federazione Italiana Karate, un corso che ho trovato tra i migliori che io abbia mai seguito sia come contenuti che come struttura e organizzazione, e non solo nell’ambito sportivo.

Insegnare significa lasciare il segno, come dice il maestro Tomei, e questo corso, a me, il segno lo ha lasciato.

Ma il segno non viene lasciato solo da un docente che sa fare qualcosa meglio di te. In primo luogo, la conoscenza non è necessariamente abilità e possibilità. Se così non fosse, allora il pugile Mike Tyson, il calciatore Ronaldo, e altri campioni non avrebbero benefici da un coach o da un preparatore sportivo. Ma non è così.

L’insegnante non ha solo il ruolo di mero trasferimento di contenuti, bensì di osservazione, facilitazione e catalizzazione dell’apprendimento.

Durante questo corso ho potuto rivivere una condizione che vivevo giornalmente oltre vent’anni fa, col maestro Miceli. Dato che ormai l’età non gli permetteva certo di fare le stesse cose che i ventenni potevano fare, non era di certo il più prestante o potente. Molti di noi, probabilmente, a un certo punto avrebbero potuto batterlo facilmente in combattimento o eseguire un kata molto meglio. Ma il suo ruolo non era quello di essere il più bravo, ma di mostrarci la via, anche una che lui non aveva percorso o che non poteva più percorrere. Questo è il dojo, il luogo dove si cerca la via. Per questo motivo, nel karate, lo chiamiamo Sensei, cioè “colui che viene prima”.

Questo è ciò che ho trovato in questi giorni. Tante persone di tante esperienze diverse, stimolate da insegnanti a lasciare ciascuno un piccolo segno nei suoi compagni. Imparare gli uni dagli altri, senza guardare il cartellino del ruolo. Vivere non con la mentalità di chi vuole solo ricevere, ma di chi vuole partecipare.

Ho vissuto giorni fantatici in mezzo a gente con cui condivido una passione e degli interessi specifici. Abbiamo imparato insieme, riso e scherzato, vissuto momenti di ansia (“ma sarà stata di tratto o di stato?” cit.). Non posso negare che ho provato molti momenti di felicità e ho potuto imparare più di quanto mi potessi aspettare.

Ciò è stato possibile perché le persone che ho trovato, partendo dagli insegnanti e poi tutti i colleghi di corso, hanno voluto partecipare e hanno lasciato da parte quella mentalità di superiorità rispetto a chi “ne sa meno” e sono stati aperti al confronto, aspettandosi non un mero trasferimento di contenuti (comunque di una qualità molto alta). Giorni, la cui struttura e organizzazione ha trasformato tutti i partecipanti in studenti, ma al tempo stesso in insegnanti a loro volta. Cosa ci può essere di più efficace per un corso volto a forma insegnanti tecnici?

Questa esperienza è stata significativa e mi piacerebbe che tutti potessero viverne di simili. Per questo, il mio suggerimento è quello di affrontare sempre, ogni corso, lasciando da parte qualsiasi voglia o sensazione di voler solo ricevere da chi sa e sa fare meglio di te, ma da chiunque ci sia attorno, diventando partecipe e non solo un ricevente.

Ancora grazie alla FIK e a tutto il suo corpo docenti per avere organizzato tutto ciò, e ai colleghi allenatori che hanno partecipato con significativi contributi positivi e costruttivi.