L’allenamento è una scienza che segue praticamente sempre un approccio empirico. Il principio di individualità non ci permette di dire con certezza assoluta cosa funzioni per una persona e cosa funzioni per un’altra.

In questo articolo voglio raccontare la mia esperienza riguardo a uno strumento che mi aiuta nell’ottimizzazione di alcune sessioni specifiche di allenamento: il cardiofrequenzimetro.

Tuttavia, come mio solito, non voglio limitarmi a dare un breve spunto su come migliorare il proprio allenamento, ma cogliere l’occasione per fare una riflessione su cosa, questo approccio, possa insegnarci per la vita quotidiana.

Tornando al principio di indivudalità, uno dei motivi principali per cui non esiste la formula uguale per tutti, ognuno ha necessità e capacità di adattamento diverse dagli altri. Normalmente, quando si fa un allenamento, si cerca di procurare uno stress acuto al corpo, fornendo poi un tempo di recupero consono per ripetere l’esercizio in modo che sia allenante.

Il tema della fatica acuta è molto studiato e può aiutare a massimizzare l’efficacia di una sessione di allenamento, per esempio riducendo i tempi di recupero al minimo necessario, ed evitando quindi che lo stimolo, o stressa acuto, venga completamente assorbito perdendo lo stimolo allenante.

Un buon indicatore del recupero, e di un buono stato del sistema simpatico e parasimpatico, è la frequenza cardiaca. Usando un cardio frequenzimetro (io uso la fascia toracica Polar H10, ma anche le più comuni smartband da polso vanno benissimo), è possibile assicurarsi che durante uno sforzo, stiamo utilizzando l’intensità corretta e stiamo recuperando il giusto.

Esistono infatti delle zone di frequenza cardiaca che indicano quali sistemi energetici siano usati principalmente e quale sia lo stato di sforzo a cui ci stiamo sottoponendo. Nella app di Polar (ma di nuovo, tutti i device che misurano la frequenza cardiaca ormai indicano le zone di FC), è possibile vedere che la zona verde sia quella aerobica (maggiore uso glicolitico tramite uso di ossigeno), mentre quella azzurra sia anaerobica (maggiore uso della fosfocreatina nei muscoli e tipicamente usata maggiormente dalle fibre veloci, e uso del sistema lipolitico).

L’allenamento condiviso nel video, è un esempio di base in cui due informazioni fondamentali mi aiutano a raggiungere il mio obiettivo. In primis, mi assicuro di mantenere un carico sufficiente a portarmi, in una contrazione isometrica, alla frequenza aerobica, che significa che l’intensità è sufficiente a stimolare i muscoli e in parte anche l’adattamento cardiaco. Se avessi usato un carico non sufficiente, probabilmente avrei visto la frequenza rimanere sulla zona azzurra e dunque essere potenzialmente poco o per nulla allenante. Al contrario, se, pur riuscendo a creare la tensione isometrica, la FC fosse salita rapidamente alla zona gialla (anaerobica con produzione di acido lattico), il carico sarebbe potuto essere eccessivo per il tipo di allenamento che stavo facendo.
Il secondo tipo di informazione, che è ancora più utile del primo, è l’indicazione di quando il cuore sia tornato alla frequenza base, cioè quella misurata dal dispositivo, stando in piedi, appena prima dell’inizio dell’allenamento. Infatti, non appena la frequenza torna alla base, è possibile iniziare la ripetizione successiva, evitando dunque di “riposare troppo”. Senza questa indicazione, molti atleti tendono a usare recuperi standard, per esempio di 1 minuto fisso tra le serie, potenzialmente recuperando troppo poco, oppure perdendo tempo tra una serie e l’altra, riducendo lo stress acuto allenante.

In programmi come HIIT, cioè a intervalli con alta intensità, questo tipo di misurazioni è estremamente importante affinché si possano ottenere i tanto conclamati risultati in “soli 8 minuti” di allenamento. Infatti, sentire il fiatone potrebbe non essere sufficiente, e riuscire a parlare di nuovo potrebbe non necessariamente indicare un buon recupero.

In sostanza, ognuno ha delle capacità diverse e questo tipo di strumenti permette di ottimizzare l’allenamento sulla base del proprio profilo.

Venendo adesso alla riflessione sulla vita quotidiana, ragionare su quanto diversi siamo gli uni dagli altri, guardando anche a piccoli dettagli come questi nell’allenamento, ci dovrebbe far capire la futilità, nella maggior parte dei casi, di paragonarsi ad altri, nello sport, ma in generale. Ognuno, infatti, è diverso e ha i suoi obiettivi, il suo contesto e le sue capacità, e deve ragionare secondo la propria prospettiva, paragonandosi solo e solamente con il se stesso del giorno prima.

Dunque, il principio di individualità, ci fa riflettere sul fatto che ognuno ha la sua storia, il suo contesto e i suoi tempi. Paragonarsi agli altri è inutile per la maggior parte delle volte, se non lo si fa con la mentalità giusta. Si può dire che nessuno è più avanti o più indietro di nessun altro. Ognuno ha il suo cammino da percorrere, con i suoi tempi, per raggiungere ciò che desidera.

Allora, smartband o fascia cardio alla mano, e buon allenamento ottimale!