Il Kata, che è una parola giapponese traducibile con “forma”, è una pratica nota principalmente grazie alle arti marziali nipponiche. Spesso criticato come “inutile” per il combattimento, oppure visto come un “balletto”, in realtà il Kata racchiude in sé molti, se non tutti, i principi del continuo miglioramento e della filosofia orientale per le arti marziali. Il problema principale è che in molti, anche tra i praticanti del settore, non lo sanno.

Cosa è quindi il Kata?

Nell’ambito delle arti marziali, si tratta di effettuare ripetutamente una serie di movimenti pre-determinati che rappresentano situazioni di combattimento immaginarie. Il suo obiettivo non è quello di insegnare tecniche da applicare “alla cieca”, ma di creare un condizionamento motorio tale per cui la risposta a uno stimolo, per esempio la percezione di un pugno che parte diretto al volto, coinvolga dei muscoli ottimizzati per andare a difendere certe zone del corpo. Questo tipo di allenamento non funziona da solo, se si pensa al combattimento (o Kumite), proprio perché mancano componenti come l’allenamento della rapidità in termini di tempo di reazione a uno stimolo. Si tratta quindi di una forma di allenamento principalmente fisico, sia di abilità condizionali che coordinative, anche se vedremo che se visto in maniera più generale, esso è molto di più.

Esistono competizioni dedicate che mostrano la parte più “artistica” del Kata, dove infatti varie esecuzioni perdono anche il loro senso pratico.

Nel concetto originale dell’arte marziale di Okinawa, dove tra l’altro tali sequenze non avevano il nome di Kata, questi erano un modo di trasmettere ai discepoli la saggezza passata accumulata nel tempo. Infatti, non era così semplice usare libri per portare avanti la conoscenza di secoli, pertanto si utilizzavano queste sequenze come forma per tramandare le tecniche e il loro significato, senza la pretesa di applicarle in maniera meccanica e cieca.

Tuttavia, il concetto di Kata, nella società giapponese, ha acquisito questa pratica delle forme del Karate-Do e l’ha unito a qualcosa di più esteso, che va anche al di là del solo combattimento o della competizione.

Ma quindi il Kata va oltre le arti marziali?

La risposta breve è semplicemente si. Per esempio, pare che sull’isola di Okinawa, la gente locale applichi il concetto anche a tutte le routine quotidiane, incluse per esempio cucinare o lavarsi i denti.

Infatti, come visto in precedenza, il concetto di Kata più generale è quello di effettuare piccoli miglioramenti ogni volta, con il fine di ottimizzare un risultato. Questa filosofia, per fare un esempio non legato al Karate-do, la troviamo negli anni 50 con la Toyota, dove diventa famoso il Toyota Kata, come parte integrante del Kaizen (miglioramento continuo per il meglio). In questo ambito, il kata rappresenta effettivamente lo stesso concetto delle arti marziali ma applicato ai “movimenti” di uno stabilimento di produzione. In quel caso, non si vuole eliminare lo spreco di energia muscolare, ma di quella lavorativa più generale.

Il Kata diventa quindi una forma di percorso senza fine verso la perfezione, dove il primo passo è quello di andare a stabilire le regole di questa perfezione e gli obiettivi che si vogliono raggiungere. Tornando al Karate, per esempio, il fatto che i movimenti siano predefiniti e sia possibile valutarne l’esecuzione seguendo le regole delle competizioni federali, permette a un atleta di autovalutarsi e di decidere quale componente andare a migliorare ogni volta.

Tuttavia, anche al di fuori della competizione, entrando nel concetto di Shu-Ha-Ri, poiché il Kata lascia ampio spazio di interpretazione, essendo da sempre una sorta di libro aperto sia alla lettura che alla scrittura, è possibile per un individuo andare a stabilire il proprio concetto di stato ideale o perfezione, e quindi allenare i miglioramenti che vanno a essere contestuali ai suoi obiettivi e che non devono necessariamente essere assoluti e accettati da tutti.

Dunque, cosa insegna la pratica del Kata?

Se parliamo della pratica sportiva nelle arti marziali, il kata allena piuttosto che insegnare. Cioè, sebbene si possano imparare cose nuove, il suo scopo principale è quello, come anticipato, del condizionamento fisico. Tenere uno “shiko dachi”, o posizione del cavaliere, per 30 secondi è già un buon allenamento delle gambe per molti.

Tuttavia, il Kata, se preso più in generale, è una pratica che allena principalmente la disciplina e l’autoconsapevolezza. Che si tratti di un kata di arti marziali, di una linea di produzione di auto, o semplicemente di come cucinare un uovo al tegamino, il concetto del kata è quello di sviluppare e allenare le proprie abilità specifiche, andando a creare condizionamenti mentali e fisici per raggiungere il proprio obiettivo.

Questo è molto importante perché se ci si pensa, si parla tantissimo di motivazione, ma guardando ai campioni sportivi, ciò che li fa arrivare ai loro risultati non è la motivazione da sola, ma soprattutto la disciplina. Infatti, un atleta che si allena 6 ore al giorno 4-5 giorni a settimana, non avrà ogni mattina la voglia e la spinta di andare a sudare e faticare. Se fosse solo una questione di motivazione, abbandonerebbe il più delle volte. Ciò che invece consente di andare avanti e raggiungere i risultati è la disciplina, che spinge l’atleta (o la persona in generale), a proseguire, ripetere e fallire, migliorando di un pezzettino ogni volta, muovendosi verso il proprio stato ideale.

Lo stesso concetto lo troviamo nella famosa teoria delle 10000 ore di pratica deliberata (cioè misurata rispetto a un obiettivo), del famoso Gladwell nell’ambito del raggiungimento di risultati da elite per qualsiasi abilità.

Qual è dunque il suggerimento da portare a casa per chi non fa arti marziali (ma anche per chi le fa)?

Guardare al kata come uno strumento per riconoscere il valore della disciplina, per allenarla e incrementare ogni giorno la consapevolezza di se stessi, dei propri movimenti e di quali limiti si possano superare e quali siano invece elementi con cui convivere.

Conoscere il vero significato del Kata permette di sforzarsi di ragionare e pensare su quale sia lo stato ideale che si addice a noi stessi e non necessariamente a una competizione, e permette di avere un riscontro misurabile e tangibile di ciò che vogliamo raggiungere e dei nostri progressi.

Tutto parte, dunque, dall’abbracciare l’idea di conoscere noi stessi e di definire dove vogliamo arrivare attraverso la pratica del nostro Kata personale.