Per chi non sapesse cosa significa “scrivere codice”, è un’espressione che viene utilizzata nell’ingegneria del software per indicare l’atto di comporre dei programmi attraverso la scrittura, per l’appunto, di codice. Più generalmente, si parla di “scrivere codice” intendendo di solito molti più aspetti legati allo sviluppo di un’applicazione, sottointendendo per esempio l’architettura scelta e altre scelte di progettazione.

Credo che al mondo non esista nessuno sviluppatore o ingegnere del software che, guardandosi indietro, non si sia detto almeno una volta di avere scritto del codice brutto. Per quanto mi riguarda, sono abbastanza certo che il mondo dei softwaristi si divida in due categorie: chi lo ha pensato almeno una volta e chi mente.

Ma oggi non voglio parlare di come scrivere “codice bello”, piuttosto prendere in esame alcune cose che si possono imparare da questo scenario e che in realtà toccano sostanzialmente chiunque nel suo percorso quotidiano. In termini pratici, voglio toccare alcuni modi per rispondere a una critica di questo tipo, crescendo e facendo crescere l’interlocutore.

Come mai questa confessione?

Questa riflessione nasce dopo aver avuto una chiacchiera veloce con una persona in un ruolo manageriale assunto però a “giochi fatti”, cioè quando l’azienda era già lanciata e aveva raggiunto probabilmente uno dei suoi picchi di successo per quel ciclo di business in cui si trovava.

Mi sono morso le labbra nel volergli fare notare quanto spocchioso apparisse e quanto in errore rischiasse di essere la sua opinione espressa probabilmente con un’arroganza più legata al “difendere” il suo ruolo acquisito, piuttosto che una vera competenza, sia tecnica che di business.

Mi ricordo ancora dell’insegnamento di uno dei manager che reputo tra le persone più sagge con cui io abbia mai lavorato: “il feedback è un dono troppo prezioso per essere sprecato con chi non ha orecchie per sentire”.

Tuttavia, la critica di quella persona fu particolarmente utile a me per riflettere sul percorso che avevo fatto e sul perché di quel famoso “codice brutto” che avevo scritto anche io, tra le varie persone che ci avevano lavorato.

Spesso, le persone meno esperte o con una più bassa autoefficacia o autostima (o entrambe), tendono a farsi demoralizzare molto da queste critiche. Non posso negare che qualche volta anche io sono caduto vittima della sindrome dell’impostore, ma poi ho avuto la capacità (e forse le guide giuste) nell’osservare che con le mie competenze e qualità di codice, avevo nel tempo superato colloqui con Google, Amazon, TopTal e varie altre aziende note per essere piuttosto ostiche nella parte tecnica. Diciamo che seppur non mi sia mai ritenuto uno particolarmente bravo, se ho avuto la possibilità di rifiutare quel tipo di offerte, proprio schifo non dovevo fare.

Ma allora com’è possibile che arriva il presunto manager guru di turno e sputa letteralmente sul codice che ho scritto?

Probabilmente, se togli il tema della scrittura del codice, e lo trasponi a qualunque altro comportamento simile, il motivo diventa più evidente. Al governo, la destra sputa su quello che ha fatto la sinistra, e la sinistra fa lo stesso con la destra. L’idraulico o l’elettricista che ti fa un lavoro a casa, si accorge sempre di quanto schifo ha fatto quello che ti ha fatto i lavori prima. Potrei andare avanti all’infinito, no?

Come mai vediamo gli errori del passato come cose stupide?

La risposta, a mio avviso, è più semplice di quello che sembra: per sentirci meglio. Si, in tutti quei casi che ho citato, chi critica l’errore del passato, lo fa perché si sente male nel presente e usa quella critica per sentirsi meglio temporaneamente nel presente.

Il famoso manager, per esempio, usa la critica per cercare di dare valore e credito alla sua conoscenza, poiché in quell’azienda non ha avuto modo di lavorarci abbastanza da avere dimostrato nulla e di conseguenza avere la fiducia delle persone. Allora, criticando l’operato di chi non c’è più cerca una facile vittoria (che però raramente avverrà in quel modo).

Allo stesso modo anche l’esempio dell’idraulico o dell’elettricista, ma questo vale anche per quella volta in cui il tuo partner ti ha criticato per avere comprato qualcosa che poi, per vari motivi, non hai cucinato ed è andato a male nel frigorifero. Qual è il motivo? Sempre lo stesso, perché ovviamente sentirsi coresponsabili di una cosa “brutta” (entità della bruttezza è ovviamente a piacere) fa stare male, per esempio perché in fondo sa che poteva farci qualcosa il partner, oppure che poteva chiedere o dire qualcosa quando era in tempo e non l’ha fatto. Allora, la critica all’errore passato aiuta a sentirsi meno responsabili e, di conseguenza, a sentirsi meglio.

Il problema sta proprio lì: criticare l’errore passato è sempre molto facile, dopo che è passato tempo e l’incertezza di quando si è fatta quella scelta è svanita.

Infatti, il codice brutto che ho scritto, il cibo che ho comprato, il tubo o il cavo elettrico che ho riparato, potrebbero essere stati la scelta giusta, in quel momento, salvo poi rivelarsi sbagliata qualche tempo dopo. Possono infatti essere cambiati il contesto e i bisogni. Potrebbero essere mutate delle variabili esogene che erano diverse in quel momento o essere successe cose impreviste.

Criticarli a posteriori è spesso molto facile, mentre capire il contesto della scelta fatta diventa man mano più difficile con il tempo che scorre.

Come comportarsi quindi di fronte a una critica di quel tipo?

Io penso che quando accadono questo tipo conversazioni, ci siano vari punti in cui si possa decidere di crescere e migliorare. Una buona risposta è, secondo me, fare domande che aiutino chi fa la critica a esplorare maggiormente ciò che è accaduto, ma solo se si ha interesse nel far crescere quella persona.

“Cosa può avere spinto a quella scelta?”, per esempio è una domanda che fa rendere conto della stupidità di una critica sterile fatta a posteriori. Bisogna pur ricordarsi che senza quel “codice brutto”, magari l’azienda di cui chi critica è manager non esisterebbe e lui non avrebbe quel posto ben pagato. Penso che molte aziende, startup e così via, non esisterebbero senza quelle “scelte brutte”, ma che qualcuno doveva fare nel momento di incertezza, quando non si sapeva quale sarebbe stato il risultato.

Diventa invece totalmente inutile, spostare la conversazione sul confronto. Domande come “beh, e tu che cosa hai fatto di meglio?” creano solo ostilità e tra le altre cose possono mettere in difficoltà entrambe le parti, poiché ognuno tenderà a creare un contesto in cui la definizione di valore vada a suo vantaggio, creando quindi una meta-conversazioni infinita e inutile.

Cosa si può imparare quindi?

Innanzi tutto, soprattutto per chi soffre di problemi di autostima e di autoefficacia, quando si riceve una critica del genere può essere utile ricordarsi di fare un’esercizio di analisi con le domande esplorative, così da rendersi conto di non essere “scarsi”, ma di avere affrontato un percorso che ha portato a delle scelte e che permette di identificare come migliorare.

Per esempio, se qualcuno critica il mio codice (ma ripeto, vale per qualunque situazione simile) o quello di un altro, guardo al presente e sposto l’attenzione su cosa si può fare per migliorare nel presente, dato che evidentemente c’è un bisogno insoddisfatto, allontanandomi da reazioni emotive che mi legano ancora al passato e mi immobilizzano per andare verso il futuro. Questo vale sia per chi critica che per chi viene criticato. La critica infatti, spesso viene usata per due motivi principali: 1) giustificare il “non agire” e il “non migliorare” in forza dell’errore passato, oppure 2) il portare acqua al proprio mulino per “gonfiarsi” e pavoneggiare maggiore competenza, come se si volesse vincere la fiducia altrui.

Se la critica la si sta ricevendo, è importante capire dove porre l’attenzione. Il presente e il futuro sono sicuramente la cosa da guardare prima. Ecco una lista di domande che si possono fare per andare in quella direzione:

  • Ok, e questo ormai è successo. Cosa facciamo adesso?
  • Bene, ora che sappiamo com’è, cosa ci serve fare per dopo?
  • Cosa succede se stiamo a guardare cosa è successo prima e non facciamo niente adesso?

Insomma, chiaro il tipo di domanda? Questo tipo riporta l’attenzione sul così detto “hic et nunc”, cioè qui e ora, cercando di mandare via aspetti emotivi che non ci servono e che ci ostacolano dall’azione.

A posteriori, come esame di coscienza per chi viene criticato (magari per uscire da sindromi dell’impostore varie), o come metodo per “svegliare” il “guru del giorno dopo”, ecco alcuni esempi di domande:

  • Quale potrebbe essere stato il motivo per una scelta del genere?
  • Cosa sarebbe successo se non avesse fatto quella scelta a suo tempo?
  • Cosa non sapeva quando ha fatto quella scelta?
  • In che modo poteva essere la scelta giusta?

Di solito questo tipo di domande tendono a smontare i palloni gonfiati e ad aiutare chi viene criticato a uscire da circoli viziosi negativi che non servono a nessuno.

In definitiva?

Credo che bisogni andare fieri, non tanto dei propri errori, ma di quello che abbiamo imparato dopo. Un famoso detto diceva “sbagliando si impara”, e mi ricordo di tante altre citazioni al riguardo, come le fantomatiche 999 lampadine fallite prima che Edison inventasse quella che funzionava.

Nella mia testa, l’unico fallimento ed errore è quello da cui non si riesce a imparare niente.

Bisogna, dunque, prendersi la responsabilità di una scelta o di un errore, e assicurarsi di avere un piano di miglioramento da seguire, sia che si venga criticati (e ci si senta impostori), sia che si stia criticando (e si stia provando a sentirsi meglio). Le giustificazioni o critiche che portano all’immobilismo, sono il nemico della crescita e del miglioramento.